Aeronautica Militare Italiana
L' Aeronautica Militare viene fondata il 28 marzo 1923 conglobando in un'unica Forza Armata autonoma, le strutture ed i mezzi aerei dell'Esercito e della marina Militare. L'attività aeronautica in Italia nasce però molto prima. Già nel 1884 il " Ministero della Guerra " disponeva infatti la costituzione di un " Servizio Aeronautico ", presso il Distaccamento del 3° Reggimento Genio di Roma, dotato di aerostati per il controllo del tiro delle artiglierie. Il 1903 è una data storica per il mondo aeronautico poiché i fratelli Wright, statunitensi, fanno volare per la prima volta nel mondo un aeroplano. Ha inizio così per l'aviazione un'era caratterizzata da rapidi progressi tecnologici che vede l'Italia sempre in posizione di avanguardia.
Nel 1908 Wilbur Wright, ospite a Roma nel neo costituito "Club Aviatori", compie ben 67 voli all'aeroporto di Centocelle istruendo il Tenente di Vascello Mario Calderara, primo pilota militare italiano. Nel 1908 Bleriot attraversa la Manica su un velivolo di sua invenzione che monta un motore interamente italiano e, nel 1909 vola il primo velivolo interamente italiano progettato e realizzato dall'ingegnere Aristide Faccioli. Nel 1910 viene fondata da Caldelara, presso l'aeroporto di Centocelle, la prima " Scuola di pilotaggio " e nello stesso anno il parlamento stanzia per quel tempo, di dieci milioni di lire per la costruzione di aerei, dirigibili e di impianti aeroportuali. Nel 1911 scoppia la guerra italo-turca e per la prima volta l'aviazione viene usata in un conflitto sperimentando le future forme d'impiego quali la ricognizione, il bombardamento e la fotografia aerea. Il primo conflitto mondiale vede sorgere la "caccia" italiana con i suoi famosi assi quali Baracca, Piccio, Ruffo di Calabria, Ranza, Olivari e Ancillotto.
Il periodo fra le due guerre è caratterizzato dalla effettuazione di imprese ormai leggendarie e dalla conquista di primati alcuni dei quali ancora imbattuti. Basti qui ricordare Locatelli che nel 1919 attraversò la Cordigliera delle Ande con il suo "SVA" ;Ferrarin che nel 1920 sempre con lo " SVA " collegò Roma con Tokio;De Pinedo che nel 1925 col suo S-16 fece il raid Italia-Australia-Giappone e ritorno;Nobile che sorvolò il Polo Nord con i dirigibili " Norge " e " Italia ";Balbo che guidò nel '30 e '33 le due famose crociere atlantiche con veivoli S-55 in formazione.
La seconda guerra mondiale l'Aeronautica impegnata al massimo delle sue forze per fronteggiare con l'eroismo dei suoi Aviatori una situazione di grave inferiorità come dimostrano le 153 Medaglie D'oro al Valor Militare concesse durante il conflitto. Dopo la guerra, l'Aeronautica Militare si impegna in un'opera intensa di ricostruzione che in pochi anni la porterà al livello delle nazioni più progredite ed in grado di fronteggiare le nuove esigenze operative previste dall'Alleanza Atlantica. Oggi l'Aeronautica Militare italiana, con i suoi Reparti operativi, centro di un'azione costante di sviluppo, assicura la difesa del cielo sul territorio nazionale e sui mari circostanti, cooperando con le forze di superficie ed effettua missioni di trasporto e soccorso aereo. L'intervento pronto ed efficace in ogni circostanza, in ogni caso di calamità all'interno e all'esterno, con la partecipazione alle esercitazioni e manovre nazionali ed alleate, sono attualmente la dimostrazione dell'efficienza raggiunta dalla Aeronautica Militare Italiana che, in continua e significativa evoluzione, è tesa a dare anche per il futuro il massimo contributo al progresso, al prestigio ed alla sicurezza della Nazione.
Lo Stemma dell'Aeronautica Militare
Il Presidente della Repubblica in data 25 gennaio 1971, accogliendo la richiesta avanzata dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica con cui chiedeva l'autorizzazione a fregiarsi di un proprio stemma nel quale tutti i Reparti, vecchi e nuovi, potessero idealmente riconoscersi, emanava il seguente decreto:
"E' concesso all'Aeronautica Militare uno stemma descritto come segue:inquartato nel primo d'oro un cavallo alato azzurro, inalberato e rivoltato, tenente con le zampe anteriori una fiaccola naturale (27ª Squadriglia aeroplani);nel secondo d'argento un grifo rampante rosso (91ª Squadriglia "Baracca");nel terzo d'argento un quadrifoglio verde (10ª Squadriglia da bombardamento Caproni), nel quarto di porpora il Leone di S. Marco in maestà con la spada e con il libro degli evangelisti chiuso (87ª Squadriglia "Serenissima").
Sopra lo scudo un'aquila turrita d'oro e sotto, su lista svolazzante d'azzurro, il motto pure in caratteri d'oro:"Virtute Siderum Tenus".
I distintivi di Squadriglia ricordano quattro fra le più gloriose della prima guerra mondiale;il motto in latino significa "Con il valore fino alle stelle".
Storia dei Distintivi
Il Quadrupede Chimerico alato con fiaccola, con la parte anteriore da leone e quella posteriore da cavallo, raffigura il distintivo della "X Squadriglia Farman", costituita il 1° aprile 1913. Tale reparto durante la 1ª Guerra Mondiale prese parte a numerosissime operazioni belliche di ricognizione e bombardamento leggero. Denominata successivamente "27ª Squadriglia Aeroplani" esegui oltre 900 voli di guerra.
Il "Grifo Rampante" rappresenta l'insegna della "91ª Squadriglia da Caccia". Questa famosa compagine nota come "Squadriglia degli assi", venne formata il 1° maggio 1917 sul campo di S. Caterina di Udine ed ebbe tra le sue fila eroi come Francesco Baracca, Piccio, Ruffo di Calabria, Ranza e altri "assi" dell'aviazione da caccia. I piloti della 91ª Squadriglia abbatterono complessivamente 60 velivoli nemici.
Il "Quadrifoglio" riproduce il simbolo della 10ª Squadriglia da bombardamento Caproni. Costituita il 25 maggio 1916, eseguì nella Grande Guerra azioni da bombardamento, compiendo circa 300 missioni in territorio nemico.
Il "Leone di San Marco" fu adottato come emblema dalla "87ª Squadriglia Aeroplani. Tale unità di volo, costituita sul campo di Ghedi nell'aprile del 1918 con compiti di ricognizione e bombardamento, assume nel settembre dello stesso anno, la denominazione di "La Serenissima", in omaggio alla città di Venezia. Tra le molte operazioni compiute, va ricordato l'epico volo su Vienna del 9 agosto 1918 condotto da D'Annunzio. Durante il conflitto il reparto effettuò complessivamente circa 160 voli di guerra.
Preghiera dell'Aviatore
Dio di potenza e di gloria
che doni l'arcobaleno ai nostri cieli,
noi saliamo nella tua luce per cantare,
col rombo dei nostri motori,
la tua gloria e la nostra passione.
Noi siamo uomini
ma saliamo verso di te
dimentichi del peso della nostra carne,
purificati dei nostri peccati.
Tu, Dio, dacci le ali delle aquile
lo sguardo delle aquile,
l'artiglio delle aquile,
per portare, ovunque Tu doni la luce,
l'amore, la Bandiera, la Gloria
d'Italia e di Roma.
Fa', nella pace dei nostri voli,
il volo più ardito;
fa', nella guerra, della nostra forza
la Tua forza, o Signore,
perché nessuna ombra sfiori
la nostra terra.
E sii con noi, come noi
siamo con Te, per sempre.
Gheregheghez! Ghez!
Ripetuto tre volte con quanto più fiato possibile è il famoso <<grido>> dell' Aeronautica Militare. Nacque al 1° Stormo Aeroplani da caccia nel 1924 e successivamente divenne il grido della Caccia italiana, poi da questa specialità si estese a tutti i reparti della Regia Aeronautica e quindi dell'Aeronautica Militare.
Lo sentiamo nelle occasioni più disparate ma soprattutto a mensa, durante i brindisi, nel corso di speciali ricorrenze o, comunque, di riunioni conviviali.
Esso trae origine dai <saluti alla voce> urlati sui campi d'aviazione durante la prima Guerra Mondiale in occasione di un ritorno vittorioso o per commemorare la perdita di qualche nostro pilota nel corso di combattimenti contro gli aviatori nemici. Il grido lanciato da quegli uomini significava, a secondo dei casi, la gioia per una vittoria, il dolore per i caduti nell'adempimento del dovere, o era propiziatorio per un'imminente missione particolarmente impegnativa cui la squadriglia avrebbe partecipato.
Così Giulio Lazzati ne racconta la nascita:
Negli anni immediatamente antecedenti la sua costituzione, la nostra aviazione, in seguito a varie cause (economiche, politiche, ecc.), vivacchiava con pochi uomini e ancor più scarsi mezzi;allo Stormo la situazione rispecchiava quella generale;gli aeroplani erano sparuti e logori;si trattava, infatti, di velivoli Spad VII e Spad VIII residuati di guerra. Il personale operava fra l'indifferenza degli alti comandi e la tolleranza dei governi di allora;si andava avanti cioè, sorretti solo dall'entusiasmo di coloro che avevano fatto parte delle suaccennate squadriglie e che avevano volato nei cieli del Montello, di Pola, di Vienna, di Primolano, di Cattaro, di Istrana, ecc.
Il tempo, purtroppo, non lavorava a favore dei più entusiasti, le avventure esaltanti, gli episodi di eroismo si stemperavano nel ricordo;persino la volontà s'affievoliva, venendo meno la speranza in un avvenire migliore;proprio in quel periodo giunsero allo Stormo undici giovani complementi;sparuto gruppetto di coloro che, nonostante tutto, credevano nel futuro dell'aviazione. I nostri giovani piloti, dopo aver frequentato le allora famose scuole di volo di Cameri e di Ghedi, forti di una passione per il volo tanto profonda d'aver fatto dimenticare loro la provvisorietà economica della scelta compiuta, s'accorsero, appena giunti allo stormo, di essere trattati da sufficienza dagli anziani, e trovarono inoltre un clima di rassegnazione che contrastava enormemente con l'esuberanza propria della loro giovinezza.
I vecchi li snobbavano dal piedistallo di una passata esperienza di guerra che permetteva loro di erudire piuttosto gategoricamente i giovani <<pinguini>>, rei solo di avuto l'ardire di inserirsi nel mondo di così nobili <<aquile>>. Per i giovani complementi fu giocoforza subire umilmente in silenzio tale stato di cose rimuginando propositi di rivincita difficili a mettersi in pratica anche perchè i giovincelli a differenza degli anziani, avevano ridottissime disponibilità finanziarie.
In ogni modo, in attesa di tempi migliori, i nuovi piloti s'erano autodefiniti quelli della <<famiglia rame>>, appunto per via del metallo delle poche monete che circolavano nelle loro saccocce;anche per tutti gli altri componenti del 1° Stormo divennero ben presto <<quelli della famiglia rame>>.
Giunti però al limite della rassegnazione, umiliati da una routine stagnante fatta di pochissimi voli e numerose attese, si decisero a rompere il silenzio;lo volevano fare in modo plateale, che dimostrasse la loro indipendenza, il loro baldanzoso <<menefreghismo>> (per usare un termine caro agli equipaggi di quegli anni), la loro irrazionale e giovane speranza in un domani migliore, e in un modo, inoltre, che non costasse loro nulla pecuniarmente parlando;così in occasione di una festa del reparto, in quel lontano 1924, a sovrastare le grida degli anziani, undici pivelli lanciarono con tutto il loro fiato, un grido senza senso, carico di benevole rabbia, contro tutti e tutto:Gheregheghez, ghez! Stupore e silenzio degli astanti, imbarazzo del comandante;quelli della <<famiglia rame>> ne approfittavano subito per lanciare quel loro grido più forte, più rabbioso:Gheregheghez, ghez!;la costernazione, la sorpresa avevano bloccato gli altri e cosi il grido entrò prepotentemente, antiretoricamente, nella vita dello stormo.
Con il trascorrere dei giorni esso fu accettato da tutti, anzi fu da tutti difeso contro contro chi lo riteneva un che di senza senso;quella frase priva di un significato preciso e senza un riferimento storico, che alla sua prima apparizione sembrava dovesse aver vita effimera, divenne sempre più il simbolo degli appartenenti al reparto e ne suggellò via via le vicende tristi o liete, gloriose o tragiche;anzi a poco a poco si estese ad altri reparti da caccia, per la semplice ragione che molti piloti del 1° vennero trasferiti negli anni successivi in altri stormi.
[brano tratto da:Giulio LAZZATI, Stormi d'Italia Storia dell'aviazione militare italiana, Mursia, Milano 1975]